Allievi o Studenti ?.. Bisogna anche saper imparare.
La vera essenza del “crescere e far crescere”, chiunque, anche in azienda. Diventare il massimo di ciò che si può diventare passa molto da qui. Per la serie: “la formazione aziendale ad Ancona, per migliorare i dipendenti in azienda (e non solo)”, condivido con voi un articolo, meraviglioso, di una delle più belle persone che abbia conosciuto, un giornalista sportivo amante del golf. Un Maestro nel senso pieno del termine. Qui, sotto forma di fine racconto esperienziale, trovate una delle linee guida fondamentali dell’apprendere, dell’imparare nel senso più alto del termine, qualsiasi cosa. Fatene tesoro.
Buona lettura.
Ogni tanto faccio un incontro importante. Questa volta sono andato a trovare i miei amici in Brianza, nel campo da golf vicino alla loro casa – e lo dico subito: un tempio della tradizione – ho incontrato un vecchio maestro. Ci conosciamo da 40 anni. Al “come va?” segue sempre il diluvio dei ricordi. Il maestro è un simpatico vecchio. Mio coetaneo.
E salta subito fuori il nocciolo del problema. “Non abbiamo più allievi”. Questo non significa che i maestri non abbiano più clienti. I clienti non mancano. Mancano gli ‘allievi’.
“Vengono a lezione di golf con l’idea in testa che, siccome mi pagano, dovrebbe essere ovvio che imparino. Roba da studenti mediocri. Ecco la differenza tra ‘studente’ e ‘allievo’. È un vero momento fondamentale.” Il mio amico allarga le braccia. Poi aggiunge: ”Non é un segreto, io ho una certa fama. E loro non capiscono come mai alla fine, essendo venuti ‘a lezione da me’ abbiano imparato poco o niente , anzi, niente del tutto”.
Fingo, per cortesia, di aver capito. So però che, prima o poi, capirò qualcosa anch’io.
Il mio amico maestro mi stringe l’occhio: “Ecco, li possiamo considerare ‘studenti’. Tutti sono studenti, a scuola. Ma c’è chi prende 8, oppure 6, e ci sono quelli che prendono 4. Non c’è un diritto al voto migliore. Bisogna meritarselo. E al golf è lo stesso. Il maestro spiega, ma non può fare di più. A patto che il mio cliente si senta ‘allievo’. È a questo punto che io spiego, ma è come se sussurrassi segreti, e si stabilisse tra me e questo raro personaggio un rapporto pitagorico. O socratico.”
Mi guarda bene per capire se ho capito. Il mio vecchio maestro sa come si insegna, ha un linguaggio elevato, ha studiato e ha imparato. Pitagora e Socrate gli sono familiari.
Ora il vecchio maestro continua: “Con l’allievo ragioniamo insieme, viviamo ravvicinati questo passaggio di informazioni, suggerimenti, indicazioni. Sensazioni che passano dal cervello alle dita. E allora ecco l’allievo prendere il volo. Quello che gli ho comunicato diventa una specie di cintura di sicurezza, lui si lancia in gesti mai tentati prima perché sa che io lo sostengo, che non lo lascerò cadere nel vuoto. Ma tutto dipende da quello che prova lui, non dipende da me.
È anche vero. Me ne accorgo subito. Io sento questo legame, la fiducia, ed è quella che mi spinge ad insegnare in maniera totale, senza limiti. Ed è la stessa forza che spinge lui ad imparare. Anzi, a tentare di imparare.”
C’è una pausa, il mio maestro resta come soprappensiero. Poi, lentamente, a bassa voce, mi spiega: “Perché un allievo vuole sempre imparare, si sforza.
Si costringe a farlo.
Lo studente sta li bravo, ma di suo non ci mette niente. Crede che basti ripetere i gesti, ma senza sentirli vivi in testa. Continua a ripetere i gesti, cioè, come se ripetesse delle frasi di una lingua che non conosce per dire cose che non sa cosa vogliano dire.
È a questo punto che il golf diventa frustrante. Quando lo ‘studente’ fa un colpo misero, s’incattivisce, si sente defraudato. Ha già preso anche molte lezioni, si sente offeso nel suo diritto d’avere un risultato, non trova giusto subire questa umiliazione. E, di rabbia in rabbia, peggiora.
Un ‘allievo’, invece, quando sbaglia, si ferma a considerare dove ha sbagliato e perché. E corregge l’errore quasi da solo. Dico: quasi da solo. Perché l’allievo mi guarda negli occhi e, direi, sa leggerci dentro la spiegazione dell’errore. Ormai farà altri errori, ma quello non più”.
Riprendiamo il discorso, a due voci, e il risultato finale, è la considerazione che lo ‘studente’ non prova per il golf alcun amore. Lo interessa, questo gioco, perché lo considera socialmente un passo da compiere. Ha trovato il tempo e il denaro per dedicare al golf un po d’entrambe le cose. Paga per quello che gli piace al momento. Paga per i vestiti destrutturati, i mocassini colorati coi gommini, e paga per il golf.
Non ama la garbata vita di club, ma gli piace questo club che lo qualifica persino un po. E, in realtà, non ama per nulla il golf, che gli procura solo irritazione, delusioni, sconfitte.
L’allievo, invece, è persona molto più rara.
Intanto: ama il golf. Anche perché non ha bisogno del golf per promuoversi. Quello che fa, lo fa già con successo. A scuola o nella vita. Ecco perché in genere sono i ragazzi a imparare subito e bene. Poi crescono e uno magari diventa un campione.
Ma tutto parte dal primo rapporto col maestro. Imparando nel modo giusto, l’allievo riesce a stabilire con lui questo legame fatto di fiducia, di rispetto, di attenzione costante e intima. Ama il golf, cioè, perché prova vero affetto per il suo maestro.
La chiacchierata è finita. Nel mio intimo mi riconosco ‘allievo’. Grazie al mio maestro, gioco come posso, ma mi diverto e amo il golf. Il segreto è tutto qui. Si può essere molto felici con una sola donna. Essere scratch tra i latin lover mi è sempre apparso piuttosto banale. La vera gioia, anche nel golf, è un’altra cosa.
Marco Mascardi.
La formazione aziendale ad Ancona, per migliorare i dipendenti in azienda.
Royal Bled Golf
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